PALAZZO LOMELLINI

ARTECONTEMPORANEA



Dal 27 maggio al 3 luglio 2022

 dal Giovedì al Sabato 15:30 - 18:30

 Domenica 10:30 - 12:30 / 15:30 - 18:30




Ingresso libero




DENOMINATORE COMUNE

Tre pittori e un fotografo



NELL’ARTE tutto è “gesto”, anche il pensiero.

Difficile, a volte, distinguere tra il gesto mentale e il gesto fisico, tra l’atto immaginativo e l’atto concreto, che lascia un segno tangibile, materiale, materiato. Il confine tra l’idea e la sua traccia oggettivata è labile, indeterminabile. Ancora più labile e indeterminabile del confine, solo apparentemente enorme, che nella nostra percezione del reale separa l’invisibile dal visibile. Nell’arte il pensiero è oggetto e l’oggetto pensiero.

Abbiamo volutamente detto “pensiero”, perché nel vasto ambito delle arti visive ciò che già solo foneticamente rimanda alla parola “concetto” è compromesso ab origine, richiamando d’ufficio una nodale questione teoretica propugnata e impugnata ideologicamente con straordinario successo dalla storiografia artistica di tendenza dell’ultimo trentennio del secolo scorso. Nell’arte il pensiero lascia un segno, sempre.

Intorno al 1979 Paolo Fossati scriveva a proposito dei Cadaveri carbonizzati di Nino Aimone (1932-2020) parole che sarebbero state non meno esatte per i coevi Trucidati (1958-59), definendo quei lavori aurorali e sorprendentemente maturi: «Opere in cui si assiste a una schematizzazione della geometria del segno così fortemente decisa da sembrare soluzione automatica, di una gestualità controllatissima ma prorompente nelle architetture minime della definizione figurativa». La schematizzazione del segno (quasi un automatismo?) tirata in ballo con puntualità da Fossati la ritroveremo costantemente in Aimone, riconoscibile e personale fino all’ultimo, sebbene marcata da evidenti scarti d’intonazione, in primis sul piano cromatico. Curiosamente di automatismo (sono consonanze non casuali) aveva parlato Guido Ballo nel 1962, presentando Piero Ruggeri (1930-2009) in un catalogo della Galleria La Bussola: «La foga in Ruggeri […] è partecipazione al fatto emotivo, bisogno di evitare ogni compiacimento per rendere l’espressione allo stato più diretto, più puro. È così che l’automatismo in lui, temperamento estroverso, non è conseguenza di un occhio interno che indaghi nei meandri dell’inconscio: è, se mai, conquista – nel gesto – di uno spazio da dominare con impeto [...]».

Di partecipare a un fatto emotivo, ma con un controllo del gesto e una gestione del segno di altra tensione “linguistica” e spirituale (interiore), ce lo chiede anche Maria Rosa Benso, in gioventù allieva di un’adepta di Felice Casorati, quella Margherita Carena che resta in attesa di essere considerata con più giusta attenzione critica da qualche studioso non irregimentato; giustamente Angelo Mistrangelo ha voluto riferirci di un’interiorità lirica rivelata: «Un’interiorità che in Maria Rosa Benso segna il cammino di una pittura legata a una meditata interpretazione delle proprie emozioni [...]», secondo un ritmo compositivo estremamente controllato, che genera altre immagini e infiniti interrogativi, sottolineando la forza evocativa dei segni, con una visione sospesa nell’atmosfera.

Sospesa è infine l’atmosfera speciale in cui ci immergono e ci trattengono le fotografie scattate da Giorgio Stella, che dal 2005 si cimenta nella sperimentazione della stampa ai sali di platino e palladio, una delle antiche tecniche pittorialiste (e non solo) maggiormente complesse e laboriose, che consente di raggiungere esiti di un preziosismo e di una raffinatezza estremi, per l’enorme ricchezza di toni e la finezza dei dettagli, caratteristiche ideali nel rendere il fascino sottilissimo e altrimenti imprendibile di una Torino notturna e silente, magante e immota come non mai. Nel fare artistico dei quattro autori (due storicizzati e due contemporanei) accostati in questa mostra il pensiero non solo lascia un segno, ma lascia un “certo” segno: molto nostro, molto torinese, se vogliamo.

È un carattere distinto, oltreché distintivo. Un denominatore comune. Una caratteristica al tempo stesso non facile da definire e assai ben definita, assolutamente precisa nella sua irrintracciabile identità. Un carattere segnico fatto di esibizione e sottrazione, di energia inesplicabile ed esplicata ricercatezza, di slancio e rattenimento; un segno dal carattere insieme estroverso e introverso, tanto sensibile quanto nevrile, come in fondo è l’anima della nostra città lunatica e cartesiana. È il segno (il gesto) che solfeggia con automatica decisione le colorate “partiture” dipinte da Nino Aimone, che alimenta e tormenta l’irruenza viscerale della ribollente materia emotiva dei quadri di Ruggeri, che ritma la rarefatta e sospesa prosodia zen delle liriche visuali di Maria Rosa Benso, che trama la preziosa spennellatura perimetrale dalla quale emergono le innumeri modulazioni tonali delle immagini monocromatiche catturate da Giorgio Stella.

Info e prenotazioni:
Comune di Carmagnola - Ufficio Cultura
Tel. 0119724238
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